Acquacheta

LA CASCATA DELL'ACQUACHETA, tra San Benedetto in Alpe e San Godenzo

Percorrendo la Statale SS67 da Portico verso la Toscana si raggiunge San Benedetto in Alpe, -ultimo paese della Romagna sul versante nord orientale dell’Appennino tosco romagnolo dal passo del Muraglione-, distante 45 chilometri da Forlì e 64 da Firenze.
Il territorio del Comune di Portico e San Benedetto, che fino al 1923 è stato parte della Regione Toscana e della Provincia di Firenze, ha ricevuto la Bandiera Arancione del Touring Club Italiano per il suo contesto naturalistico di grande bellezza, la rilevanza storico-culturale, l’ospitalità e i prodotti tipici: tra di essi i frutti del bosco e del sottobosco, a cui sono dedicate le sagre autunnali, la festa dell’artigianato artistico (seconda domenica di ottobre), la manifestazione “Portico: il Paese dei Presepi” nel periodo natalizio, “San Benedetto all’osteria” in giugno e la Sagra del Porcino a Bocconi.

La storia del borgo di San Benedetto in Alpe corre parallela a quella della sua antichissima abbazia benedettina, già esistente nell’853 d.C., probabile data della consacrazione della prima chiesa da parte di Papa Leone IV (come indica una lapide ivi esistente); tra i più importanti complessi monastici medievali della zona, l’abbazia fu visitata tre volte da San Romualdo (986, 1004, 1021), carismatico fondatore dei camaldolesi impegnato nella riforma della vita monastica in senso evangelico.
Le prime case del paese sorsero all’ombra del complesso monastico in prossimità dell’incrocio dei torrenti Acquacheta, Rio Destro e Troncalosso che, unendosi, danno origine al fiume Montone, da cui il toponimo di Biforco; a valle si aggiunsero in seguito un ospizio per accogliere i viandanti e i mulini, a cui si deve il toponimo di Mulino, la parte bassa del paese posta lungo la strada statale 67. In alto, sullo sperone roccioso su cui sorge il complesso abbaziale (detto Poggio) vennero invece realizzati un pecorile ed un caprile, di proprietà del monastero, ed un vignale, dei quali restano oggi altrettanti toponimi.

Per andare dalla parte bassa del paese all’abbazia è possibile percorrere a piedi una strada lunga poco più di un chilometro che prosegue nella suggestiva e ripida via Dante in onore del Sommo Poeta, che sostò in queste zone e nell’Abbazia nei primi anni del Trecento.
Il monastero, al massimo del suo splendore e ricchezza tra XI e XII secolo, comprendeva anche il convento, il chiostro e un sistema fortificato, e grazie a munifiche donazioni divenne una delle più ricche e potenti abbazie dell’Appennino tosco-romagnolo, i cui possedimenti si estendevano nelle diocesi di Forlì, Forlimpopoli, Faenza e Firenze.

La decadenza del complesso iniziò alla metà del Trecento; il territorio, parte del feudo dei Conti Guidi di Modigliana, divenne poi libero Comune e quindi, nel 1440, passò sotto la giurisdizione la Signoria di Firenze; nel 1499 Papa Alessandro VI sostituì i monaci benedettini con i vallombrosani, che rimarranno fino al 1529, quando l’Abbazia venne annessa al collegio di San Lorenzo a Firenze, dove restano numerose pergamene e notizie relative al complesso abbaziale. I restauri settecenteschi hanno trasformato il complesso monastico, ad oggi ridotto in dimensioni; parte del chiostro venne demolito e l’antica chiesa con abside semicircolare da croce latina fu spostata e trasformata a navata unica; conserva oggi al suo interno dipinti e un crocifisso ligneo attribuito alla scuola fiorentina del Quattrocento.
Della struttura originaria restano il muro perimetrale destro, l’alto campanile a vela, parte dell’abside semicircolare, una torre di vedetta munita di feritoie e balestriere, parte del chiostro con il pozzo e la suggestiva cripta, la parte più interessante da visitare, recentemente oggetto di scavo e valorizzazione. Da fine giugno 2017 sono presenti pannelli didascalico informativi e viene proiettato su richiesta o durante le visite guidate un suggestivo video con ricostruzione 3D dell’abbazia alle origini, quando la cripta aveva notevoli dimensioni e si svolgeva sotto tutto il presbiterio, l’altare maggiore e i due transetti; oggi ne rimane la parte destra, voltata a crociera con colonne e capitelli in stile bizantino. Vi si accede dalla prima porta a destra dell’ingresso della Chiesa, passando attraverso il chiostro-cortile con pozzo, da cui si può ammirare il magnifico panorama della valle e dei monti che la circondano.

Tra i personaggi famosi che qui hanno soggiornato vi sono il poeta marradese Dino Campana (1885-1932), Giovanni Boccaccio (1313-1375), che nell’abbazia compose il commento sull’Inferno dantesco, e prima di lui l’Alighieri stesso, che nel suo esilio trovò alloggio dapprima presso l’Eremo dei Romiti, fondato nel 986 da San Romualdo, oggi in territorio toscano, ed in seguito presso l’Abbazia dove, forse, compose una parte della Commedia.

Nella sua opera maggiore, Dante descrive puntualmente la Cascata dell’Acquacheta, poco distante dall’Eremo e oggi raggiungibile a piedi da S. Benedetto grazie al Sentiero il sentiero 407 “ACQUACHETA, LA VALLE E LA CASCATA DI DANTE”, divenuta per questo celebre nella letteratura e frequentata meta escursionistica, soprattutto in primavera quando la portata del fiume è maggiore.
Il percorso, poco impegnativo, si svolge nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi e consente di sostare nelle aree “Ca’ del Rospo” e “Molino dei Romiti”, risalendo il corso del torrente Acquacheta fino alla confluenza col torrente Lavane E conducendo alla sommità della cascata; magnifica la vista sulla valle del torrente Acquacheta e sulla Piana dei Romiti, vasto altopiano contornato dai monti, in cui sorgeva anticamente l’Eremo dell’Abbazia, dove i monaci trascorrevano periodi di meditazione in solitudine e del quale rimangono suggestivi ruderi divorati dalla vegetazione.
Lo spettacolo del luogo e la caduta dell’acqua per 90 metri su gradoni di roccia
ispirò in Dante il confronto con il fiume infernale Flegetonte nel XVI° Canto dell’Inferno (vv. 94-105):

“Come quel fiume c’ha proprio cammino
prima da Monte Veso inver levante,
dalla sinistra costa d’Apennino,
che si chiama Acquacheta suso, avante
che si divalli giù nel basso letto,
e a Forlì di quel nome è vacante,
rimbomba là sovra San Benedetto
dell’Alpe per cadere ad una scesa
ove dovria per mille essere recetto;
così, giù d’una ripa discoscesa,
trovammo risonar quell’acqua tinta,
sì che ‘n poc’ora avria l’orecchia offesa”.

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Il famoso passo, affascinante per la musicalità, non è di facile interpretazione e ha dato adito ad una ridda di interpretazioni; il Sapegno vi vede una semplice descrizione paesaggistica, mentre altri una critica da parte di Dante alla ricchezza eccessiva dell’abbazia, che al suo tempo accoglieva pochi religiosi, quando per le sue cospicue rendite ne avrebbe potuti accogliere più di mille (“per mille esser recetto”). Secondo altri commentatori Dante si riferiva al progetto, rimasto tale, di costruzione da parte dei conti Guidi di una grande rocca a fini strategici e difensivi nella piana dei Romiti, in cui passava l’antica strada di collegamento tra i due versanti dell’Appennino e di cui restano alcune tracce. Oppure ancora, che l’altipiano stesso fosse in sé talmente esteso da poter raccogliere mille armati per tentare un rientro a Firenze.

Qualunque sia la giusta interpretazione, questi luoghi hanno assunto fama immortale grazie a Dante ed è possibile ripercorre i suoi passi in queste antiche foreste.
La cascata dell’Acquacheta si raggiunge anche dal Passo del Muraglione lungo il crinale principale (CAI 00) attraverso la Fiera dei Poggi, oppure direttamente da San Godenzo: questo terzo percorso, consigliato per i camminatori più esperti e allenati, raggiunge Colla della Maestà con il sentiero 10, che parte dal primo tornante della strada statale del Muraglione e tocca il villaggio di Castagneto.

Photo credits: Comune di Portico e San Benedetto; Sara Fabbri