Palazzuolo Sul Senio

PALAZZUOLO SUL SENIO

Incantevole paese incastonato tra i monti dell’Appennino tosco-romagnolo, dal 2018 Palazzuolo sul Senio fa parte dei Borghi più belli d’Italia. I vicoli e l’impronta medioevale del centro storico fanno da cornice perfetta per Medioevo alla corte degli Ubaldini, rievocazione storica che da oltre due decenni, per lo spazio di un weekend, riporta il paese al dominio dei potenti feudatari che segnarono le sorti di questo luogo rimasto quasi fermo nel tempo, fino alla conquista fiorentina del 1373. Numerosi ristoranti nelle vie del centro servono prelibatezze locali dolci e salate, influenzate dalla vicina cucina romagnola.
Si dice che la donna ritratta tra le due torri dello stemma del paese sia Marzia Ubaldini, detta Cia (1317-1381), sposa di Francesco Ordelaffi Signore di Forlì e nipote di Maghinardo Pagani (1243 ca.-1302), che Dante conobbe personalmente e con cui prese parte nel 1289 alla Battaglia di Campaldino tra le fila della Lega Guelfa. Per la spregiudicata condotta politica gli riserva un posto all’Inferno, non mancando di menzionarlo anche in Purgatorio, come recita la lapide apposta sul  trecentesco Palazzo dei Capitani, che dalla fine del ‘300 accolse i rappresentati del potere fiorentino ed oggi ospita il Museo Archeologico Alto Mugello e il Museo delle Genti di Montagna.
Sopra la piazza Ettore Alpi, totalmente ristrutturata negli anni’80 da Adolfo Natalini, è la seicentesca Chiesa dei SS. Carlo e Antonio, da cui un sentiero conduce ai ruderi del Castellaccio e al borgo di Lozzole; entrambi presidi militari degli Ubaldini, furono ceduti a Firenze e smantellati alla fine del Trecento.
Nei dintorni di Palazzuolo si possono fare escursioni a cavallo, trekking e seguire percorsi in mountain bike, oppure visitare il Santuario della Madonna delle Nevi di Quadalto del XV secolo o la millenaria Pieve di Misileo, dedicata a San Giovanni decollato, antico Santo patrono dei Longobardi, con l’antica cripta appartenuta alla chiesa originaria. Nelle vicinanze è Badia di Susinana, oggi trasformata in villa-fattoria con l’antica chiesa da poco restaurata; appartenne ai Vallombrosani e nel 1302 vi fu sepolto Maghinardo in cambio di un cospicuo lascito di beni mobili ed immobili.
Indiscusso protagonista delle vicende politiche e militari romagnole dell’ultimo quarto del secolo XIII, ghibellino in Romagna e guelfo in Toscana, il mutevole atteggiamento politico gli valse la condanna di Dante che lo definì “il lioncel dal nido bianco che muta parte dalla state al verno” (Inf., XXVII, 50 s.), con riferimento all’araldica di famiglia, un leone rampante blu in campo argento.

Nel canto XIV del Purgatorio si profetizza poi la morte de “l dimonio” dei Pagani (vv. 118-120), che nel 1282 aveva sposato Mengarda della Tosa, alleandosi con i guelfi neri sostenitori di Papa Bonifacio VIII. Il cronista Giovanni Villani lo definì invece “grande e savio tiranno” (Nuova Cronica, VIII, 149), “ghibellino era di sua nazione e in sue opere, ma co’ Fiorentini era guelfo e nimico di tutti i loro nimici o guelfi o ghibellini che fossono”. Di lui scrive che “morto il padre, che Piero Pagano avea nome, grande e gentile uomo, rimanendo il detto Maghinardo piccolo fanciullo e con molti nimici, conti Guidi, Ubaldini e altri signori di Romagna, il detto suo padre il lasciò alla guardia e tuteria del popolo e Comune di Firenze, lui e le sue terre: dal quale Comune benignamente fu cresciuto e guardato e migliorato il suo patrimonio e per questa cagione era grato e fedelissimo al Comune di Firenze in ogni sua bisogna”. Infatti, negli anni ’80 del Duecento fu particolarmente legato a Firenze; la città mosse in suo aiuto nel 1287 per liberarlo dall’assedio delle sue rocche appenniniche da parte degli avversari faentini, e Maghinardo fu con Dante nel 1289 a Campaldino al fianco dei fiorentini contro i ghibellini aretini.
Nato dal nobile ghibellino Pietro di Pagano, -Signore di Castel Pagano, Susinana e di numerosi altri castelli lungo le strade di valico appenninico tra Toscana e Romagna-, e da Diana di Azzo della Pila Ubaldini del ramo di Montaccianico, aveva ereditato dal padre l’ampia signoria estesa sulle alte valli del Lamone, del Senio e del Santerno. Grazie al Papa e all’appoggio del Comune di Firenze divenne padrone di Imola (di cui fu podestà dal 1297 al 1299 e capitano del Popolo dal 1299 al 1302) di Faenza (dove teneva la carica di capitano del Popolo ininterrottamente dal 1289) e di Forlì (capitano del Popolo nel 1300).
All’apice del potere e a capo di una piccola signoria, Maghinardo improvvisamente si ammalò e morì nel suo castello di Benclaro nei dintorni di Marradi (27 agosto 1302), pochi giorni dopo aver dettato il testamento a favore delle due figlie Andrea e Francesca e dei suoi più stretti collaboratori, lasciando il castello di Gamberaldi al fratellastro Ugolino.

Sempre per volontà testamentaria, Maghinardo fu sepolto dentro Badia di Susinana in veste monastica: “scelgo come mia sepoltura e voglio che il mio corpo sia sepolto presso la chiesa e monastero di S. Maria di Rio Cesare secondo l’usanza e vestito dell’abito dell’ordine di Vallombrosa e non diversamente… ”.
Ignota è l’ubicazione esatta della tomba; leggenda narra che il sepolcro sarebbe toccato da un raggio di sole una volta l’anno, all’equinozio di primavera.

Photo credits: Comune di Palazzuolo sul Senio