Giotto

GIOTTO (1267-1337)

“Credette Cimabue ne la pittura
tener lo campo, e ora ha Giotto il grido,
sì che la fama di colui è scura”
(Purg. XI, vv. 94-96)

Il passo testimonia l’importanza artistica raggiunta in vita da Giotto, tale da adombrare il suo stesso maestro Cimabue; in proposito c’è anche il curioso aneddoto narrato da Giorgio Vasari nella sua celebre opera “Le Vite”: “Dicesi che stando Giotto ancor giovinetto con Cimabue, dipinse una volta in sul naso d’una figura che esso Cimabue avea fatta una mosca tanto naturale, che tornando il maestro per seguitare il lavoro, si rimise più d’una volta a cacciarla con mano pensando che fusse vera, prima che s’accorgesse dell’errore”.

Le notizie biografiche sui primi anni dell’artista sono assai frammentarie; Vasari scrive che “[…] i principii di sì grande uomo furono nel contado di Fiorenza, vicino alla città XIV miglia, nella Villa di Vespignano”. Questi “principii”, alla luce delle odierne indagini, risalgono al 1266–1267. Il nome è forse un diminutivo da Angiolotto, Ambrogiotto, Parigiotto, o anche Biagiotto (un diminutivo “Giotto” per Biaxio era in uso a Firenze ancora nel Quattrocento).
Attorno agli anni ottanta, e dunque a circa dieci anni, risalirebbe il famoso incontro con Cimabue cui sarebbe seguito il trasferimento a Firenze ed un periodo di alunnato presso la sua bottega.
L’episodio che cambia la vita del ragazzo, già riportato da Lorenzo Ghiberti nei suoi “Commentarii” (1452) e poi di nuovo da Vasari, avviene secondo la tradizione presso il Ponte alla Ragnaia, a valle del colle di Vespignano, dove secondo la tradizione sarebbe nato l’artista. Presso il ponte, da allora detto Ponte di Cimabue, il Maestro vede il ragazzo intento a ritrarre su una pietra una pecora del suo gregge “dal naturale” usando un sasso appuntito. Rimasto colpito, Cimabue invita Giotto a seguirlo a Firenze nella sua bottega.
A breve distanza, accanto ai resti di quello che fu il castello di Vespignano sul colle omonimo, è il Museo Casa di Giotto.

Unica opera di Giotto rimasta nel Mugello e visibile gratuitamente è la “Madonna con bambino” nella pieve di Borgo San Lorenzo, realizzata nel periodo giovanile alle fine del Duecento.

Giotto è descritto da Vasari “ingegnoso e piacevole molto e ne’ motti argutissimo” e molto amico dello stesso Dante.
Vasari scrive che Giotto “[…] fra gli altri ritrasse […] nella cappella del palagio del podestà di Firenze, Dante Alighieri coetaneo et amico suo grandissimo, e non meno famoso poeta, che si fusse ne’ medesimi tempi Giotto pittore, tanto lodato da Messer Giovanni Boccaccio nel proemio della novella di messer Forese da Rabatta e di esso Giotto dipintore”.
Dante è raffigurato in Paradiso nella scena del Giudizio Universale; il ritratto, scomparso nelle trasformazioni del palazzo del Podestà in prigione, viene ritrovato nel 1840. Sottoposto a numerosi restauri, mostra l’intervento di più mani; Giotto è stato presumibilmente sia l’ideatore che il “progettista” dell’intero ciclo decorativo, ricondotto all’ultima fase della sua attività, in cui prendeva avvio la costruzione del Campanile del Duomo.

Secondo Vasari i contatti tra i due amici proseguono anche durante l’esilio del Poeta; Giotto va infatti a Verona da Cangrande Della Scala, a cui il Poeta dedica il Paradiso.
Ritornando in Toscana si ferma a Ferrara dagli Estensi, e “[…] venendo agli orecchi di Dante poeta fiorentino che Giotto era in Ferrara, operò di maniera che lo condusse a Ravenna, dove egli stava in esilio, e gli fece fare in S. Francesco per i Signori da Polenta alcune storie in fresco intorno alla chiesa”. Com’è noto, i Da Polenta ospitano Dante prima della sua morte per febbri malariche al ritorno da un’ambasceria a Venezia nel settembre 1321.
Un’opera del pittore Giovanni Mochi conservata alla Galleria dell’Accademia di Firenze raffigura infatti Dante Alighieri in atto di presentare Giotto a Guido da Polenta (1855), secondo il tipico stile accademico dell’epoca.

Vasari prosegue scrivendo che Giotto, “[…] l’anno 1322, essendo l’anno innanzi con suo molto dispiacere morto Dante suo amicissimo, andò a Lucca, et a richiesta di Castruccio, Signor allora di quella città sua patria, fece una tavola in S. Martino”.